sabato 31 dicembre 2011

ROMBO ALLA MILANESE CON GUACAMOLE


Ricetta gustata al corso “Alta Cucina” presso “La Cucina Italiana – Milano”

(foto made by Bay)
Ingredienti per 4 persone
n. 1 rombo del perso di circa 800 g.
n. 2 avocado maturi
n. 1 uovo
n. 1 pomodoro piccolo
n. 1 peperoncino fresco, piccantino
n. 1 scalogno
g.  5 coriandolo fresco
        succo di ½ limone
       olio di arachide per friggere
       pane grattugiato
      sale, pepe nero

Procedimento
Pulite, sfilettate e spellate il rombo, poi tagliate i filetti a striscioline.
Per la salsa: sbucciate gli avocado, dopo averli tagliati a metà e gettato i nocciolini, riducete la polpa a pezzettini, bagnate col succo di limone affinché non annerisca.
Lavate il pomodoro e tagliatelo a dadini; mondate e tritate lo scalogno; lavate il peperoncino, eliminate i semi e tritatelo finemente; mondate il coriandolo e, dopo averlo asciugato, tritatelo sottilmente.
Mettete in una ciotola l’avocado e schiacciatelo con una forchetta, condite con sale e pepe. Aggiungete il coriandolo, lo scalogno, il pomodoro e il peperoncino, amalgamando con cura. Mettete a riposare al fresco.
A questo punto passate i filettini di pesce nell’uovo e poi nel pane grattugiato; friggete in abbondante olio caldo, poi adagiateli su carta assorbente per far assorbire l’unto. Salate.
Distribuite su un piatto la guaca mole e disporvi sopra i filettini di rombo dorati e croccanti; potete anche utilizzare dei bicchierini monoporzione in cui distribuirete la salsa con i filettini di rombo croccanti.

venerdì 30 dicembre 2011

MARINETTI E IL FUTURISMO GASTRONOMICO


Da “101 Storie su Milano che non ti hanno mai raccontato” di Francesca Belotti – Gian Luca Margheriti – Newton Compton Editori

Prendete un salame, disponetelo su un piatto e prima di servirlo annaffiatelo con del caffè espresso e spargete un pizzico di acqua di colonia. E voilà, il “Porco eccitato” è servito
È solo una delle tante ricette messe a punto dai futuristi dopo che il 30 dicembre 1930 Filippo Tommaso Marinetti pubblica sulla Gazzetta del Popolo di Torino il Manifesto della cucina futuristica.
La ricetta in questione è una creazione di Fillia, ma ne esistono molte altre dai nomi altrettanto bizzarri, vedi “Brucioinbocca” di Barosi, “Percazzottare” di Saladin, “Risotto d’imene al peccato d’amore” di Marinetti, “Uova divorziate” di Giachino e “Mammelle italiane al sole” di Mori da accompagnare con “vini italiani ed acque non contaminate”.
Il Manifesto è una sfida alla cucina tradizionale, dato che “si pensa si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia”, oltre al fatto che non è auspicabile che “l’Italiano diventi cubico massiccio”, ma anzi “prepariamo una agilità di corpi italiani adatti ai leggerissimi treni di alluminio che sostituiranno gli attuali pesanti di ferro legno acciaio”. I futuristi inoltre condannano la pastasciutta “assurda religione gastronomica italiana”, meno nutriente di carne, pesce e legumi, senza contare che la sua abolizione “libererà l’Italia dal costoso grano straniero e favorirà l’industria italiana del riso”.
Per quanto riguarda la consumazione dei pasti, il Manifesto propone l’eliminazione di forchetta e coltello, il divieto di qualsiasi conversazione che verta sulla politica, un sottofondo musicale tra una portata e l’altra ma non mentre si mangia, , perché distrae i sensi; e un profumo da accompagnare a ogni piatto, che sarà poi cancellato dai ventilatori (ecco spiegata l’acqua di colonia ingrediente del “Porco eccitato”). In più i piatti dovrebbero stuzzicare la vista ancor prima del palato, per questo i futuristi inventano il “carne plastico”. Ecco l’esempio di come viene preparato il complesso plastico mangiabile “Equatore + Polo Nord” creato dal pittore futurista Enrico Prampolini: “E’ composto da un mare equatoriale di tuorli rossi d’uova all’ostrica con pepe, sale e limone. Nel centro emerge un cono di chiaro d’uovo montato e solidificato pieno di spicchi d’arancio come succose sezioni di sole. La cima del cono sarà tempestata di pezzi di tartufo nero tagliato in forma di aeroplani negri alla conquista zenit”.
Accanto a questi piatti elaborati si possono però trovare anche un “normale” risotto all’arancia (il riso alle fragole o alle mele prenderà piede negli anni Settanta), il “Boccone squadrista”, ovvero filetti di pesce con le mele, e ancora il cosiddetto “Aeroporto piccante”, un’insalata russa accompagnata da frutta fresca. Si fa inoltre accenno alla chimica gastrica e “al dovere di dare presto al corpo le calorie necessarie mediante equivalenti nutritivi gratuiti di Stato, in polvere o pillole”, oltre che all’uso in cucina di strumenti scientifici come ad esempio le lampade per l’emissione di raggi ultravioletti, perché alcuni cibi se irradiati acquistano proprietà attive. Si tratta di un manifesto forse meno conosciuto  del più famoso Manifesto del futurismo scritto da Marinetti e consegnato alla stampa nel 1909, ma di certo ha anticipato i temi se si pensa che in alcune città americane sta prendendo piede la cucina molecolare (“gastronomica” per chi la snobba) con tanto di tecnochef ai fornelli alle prese con raggi laser, centrifughe e acceleratori di particelle di ioni, che propongono ai loro clienti foie gras elastico, gelato all’azoto e maionese fritta.
Anche questo è Futurismo, il movimento artistico e letterario che esalta la modernità e le scoperte scientifiche, trovando i natali proprio a Milano, grazie ad artisti come Marinetti, Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Luigi Russolo e alla rivista simbolista meneghina “Poesia”, fondata nel 1905 dallo stesso Marinetti. Rivista che è stata pensata nella cosiddetta “Casa Rossa” (dal rivestimento in cotto), un tempo al numero 61 di corso di Porta Venezia, dove nell’appartamento al primo piano abita la famiglia Marinetti. Filippo Tommaso è nato ad Alessandria d’Egitto, ha studiato a Parigi e ora ospita i suoi amici futuristi nell’appartamento di papà Enrico e mamma Amalia per poi magari fare una puntatina alla Galleria Vittorio Emanuele II, non prima di aver fatto notare ad alcune ragazze che lui e i suoi compari son fra i più potenti geni d’Italia. L’edificio sarà poi abbattuto nel 1928, ma proprio di fronte a palazzo Serbelloni, in corso Venezia, si trova una targa a ricordo di Marinetti.
Dalla Casa Rossa al Savini, dove Marinetti ricorda di aver avuto una discussione con Tito Ricordi, direttore dell’omonima casa editrice musicale, ammettendo di averlo insultato violentemente “ad alta voce da un tavolino all’altro”. E ancora: a Parma non dimentica i “cazzotti in quantità”, e, durante una rissa, ci tiene a sottolineare che ne è uscito indenne, mentre Boccioni e Carrà le prendono di santa ragione e sono costretti a farsi medicare dalla guardia medica. Sono botte anche quando Marinetti e i suoi organizzarono una Grande serata di poesia futurista al Teatro Lirico scagliandosi contro l’Internazione e l’Austria, e accendendo gli animi che non si placano né in teatro né in strada, fino a quando li scontri saranno sedati dalle forze dell’ordine.
Poco dopo la nascita del movimento politico dei Fasci italiani di combattimento ha invece luogo un duro scontro tra un gruppo di fascisti e alcuni socialisti riuniti in piazza Garigliano per assistere a un comizio. Dal palco l’anarchico Ezio Schiaroli accusa Mussolini di esser un traditore, e la polizia sospende subito il raduno temendo che possa sfociare in una sommossa. Mentre la folla si disperde, si verificano i primi disordini: colano pietre ed esplodono alcuni colpi di pistole. Risultato: un morto e diversi feriti. I fascisti, usciti vincitori dagli scontri, si dirigono verso la sede dell’”Avanti!”. La confusione è tanta si spara da una parte e dall’altra. Le camicie nere entrano nell’edificio e distruggono tutto ciò che gli capito sotto tiro; poi, staccata l’insegna del quotidiano socialista, la depositano accanto al monumento equestre di Vittorio Emanuele II, in piazza del Duomo. Tra di loro c’è anche il Marinetti goliardico che, come i fascisti, desidera un’Italia più dinamica

giovedì 29 dicembre 2011

“L’ABBRUSTULATURO” di Eduardo de Filippo


Da “Le ore del caffè” di Mariarosa Schiaffino – Casa Editrice IdeaLibri

"L'abbrustulaturo" disegno di Edoardo de Filippo
Intorno al 1908 abitavamo in Vico Ascensione a Chiaia, numero 13. In questa traversa di via dei Mille, come del resto in tante strade e vicoli di Napoli, nelle prime ore del mattino si celebrava un rito particolare, indispensabile per le famiglie meno abbienti e per i “patiti”, si abbrustoliva il caffè, giacché a comprarlo crudo si risparmiava e tostarlo in casa costava solo pazienza e abilità.
Ogni una o due settimane si preparava la quantità necessaria, a seconda del bisogno, delle finanze e della golosità di ciascuna famiglia. E poiché, ovviamente, le date della “cerimonia” non coincidevano, ogni giorno c’erano qualche donna o qualche “nonno”, appollaiati sui terrazzi o seduti in balcone a girare la manovella dell’”abbrustulaturo”.
Prima di andare avanti sarà bene descrivere questo arnese che oramai per la maggioranza dei Napoletani è diventato soltanto un ricordo.
Era un cilindro lungo dai 30 ai 60 centimetri, con circa 15 centimetri di diametro; da un lato aveva un lungo perno, dall’altro una manovella; i chicchi crudi si introducevano nel cilindro attraverso uno sportellino centrale che veniva poi ben chiuso per mezzo di un gancetto.  Il fornello consisteva in una “scatola” rettangolare su piedini, anch’essa di metallo. Sulla griglia del fondo si accendeva la carbonella; al centro d’una parete laterale c’era un buco per alloggiare il perno, di fronte a questa parete si trovava un vuoto nel quale inserire la manovella. Fatto ciò, si poteva dare inizio alla tostatura.
Una piccola parentesi: perché ho parlato di terrazze e balconi? Perché, durante la cottura, i chicchi di caffè, molto oleosi, sprigionavano un fumo intenso che sarebbe risultato insopportabile in un ambiente chiuso, mentre fuori non dava alcun fastidio, anzi, diffondendosi per l’aria e trasportato dal vento, costituiva per tutto il vicinato una vera gioia.
Girando la manovella, i chicchi si rovesciavano su se stessi, cadendo e ricadendo sulla parete infuocata del cilindro, fino a raggiungere il giusto punto di cottura. Ogni tanto si toglieva l’”abbrustulaturo” dal suo appoggio e lo si scuoteva un paio di volte per sentire il rumore degli acini e calcolarne il peso poiché essi diventavano sempre più leggeri man mano che cuocevano. Ma non basta … Bisognava controllare anche il colore dei chicchi, aprendo ogni tanto lo sportellino centrale e quando erano diventati color “manto di monaco” si toglieva immediatamente dal fuoco il cilindro e si versavano gli acini bollenti su un largo vassoio o su un capace piatto di terracotta, allargandoli ben bene con un mestolo di legno e continuando ad agitarli finché si raffreddano. Ad ogni colpo di mestolo si alzavano nuvole di fumo che spandevano intorno un aroma delizioso, penetrante, irresistibile.
Anche io, che poltrivo a letto cercando di ritardare il momento in cui avrei dovuto alzarmi per andare a scuola, non appena questo seducente profumo mi arrivava al naso (e arrivava perfino quando le finestre erano chiuse!), saltavo giù dal letto, pieno di energia e felice di iniziare una nuova giornata. Ecco che, prima ancora di avere ottenuto il permesso di berlo, il caffè mi faceva da sveglia ed era diventato il simbolo del giorno che inizia …
L'odore del caffè appena tostato, uno degli odori più stupendi che esista, mi seguiva mentre mi lavavo, mi vestivo, mangiavo con appetito "'a zupp' 'e latte", e mentre scendevo le scale ... Arrivato in strada l'odore si sentiva un po' meno perché il fumo tende più a salire che a scendere, ma ne ero egualmente consapevole attraverso le voci che ascoltavo. Che allegria mi davano quei commenti che scoppiettavano da una finestra all'altra, lungo tutto il tragitto da casa mia alla scuola! "Ah, ma ch'addòre 'e cafè, che bellezza!", esclamavano in coro dei venditori ambulanti.
Una donnina filiforme chiedeva a una donna con un gran "tuppo" di capelli neri: "Signò, l'avete fatto il caffè, voi?", e l'altra rispondeva: "Comme no! Noi lo facciamo due volta alla settimana. Teniamo 'o nonno che non lo contenta nisciuno e accussì lo fa lui personalmente". Dal balcone di un appartamento signorile un cameriere vestito da vespa (giacca a righe nere e gialle) e basette nere laccate sulle tempie, a una squisita servetta dell'appartamento accanto: "Tra poco vi debbo lasciare, si deve ritirare il caffè". E lei: "Andate, andate ... Io 'o cafè 'o faccio di sabato, ma è sempre una grande responsabilità. Ciro mio: basta che ti sìdistrai nu mumento, s'abbruccia 'o ccafè e s'appuzzolentisce 'a casa!"
Poi, spesso, prima d'essere inghiottito dal portone della scuola, a San Pasquale a Chiaia, mi arrivava all'orecchio l'"Ahhh..!" di un solachianiello di fronte. Sorbiva una tazzina di caffè prima d'iniziare il lavoro e quell'"Ahhh..!" era di un'eloquenza eccezionale: vi trasparivano piacere, soddisfazione, sensualità, appagamento, golosità, addirittura sorpresa e rapimento... Tutte cose che poi, da grande, avrei provato anche io, ma che allora, a otto anni, mi facevano venir voglia di ridere...
E fu un bel ridere quando raggiunsi, assieme ai 29 anni, il vero, grosso successo con Sik Sik, l'artefice magico. Tutti ricordano credo, l'invito di un prestigiatore: "Se c'è quacche persona del pubbrico ca vuole venire sul palcoscenico, signori ...", e la famosa battuta del "palo": "Venche io!" Nel 1929 queste due paroline diventarono una vera e propria frenesia. La gente le usava dappertutto, a proposito e a sproposito: per strada, gridandosele da un marciapiedi all'altro, nei locali pubblici, nelle case, sulle spiagge alla moda. Un giovane adocchiava una bella ragazza? Subito esclamava: "Venche io!" Se un ghiottone vedeva arrivare in tavola un dolce tentatore, diceva: "Venche io!".
Persino nei bar e nei ristoranti i cameriere, alla chiamata dei clienti, s'avviavano a passo di bersagliere strillando: "Venche io!"
Tanta popolarità finì per attirare l'attenzione del Bar delle Antille, locale famoso a quell'epoca per l'eccellenza del suo "espresso". Don Ciro mi chiese di poter esporre in vetrina una foto di Sik-Sik, possibilmente con l'aggiunta di una frase che reclamizzasse il suo caffè. Lo accontentai, e sotto l'ingrandimento del mio personaggio in posa di prestigiatore scrissi:
"P' 'o ccafè delle Antille pure Dio, si sent' 'addore, dice: "Venche io!"
Davanti alla vetrina, dalla mattina alla sera, sostavano gruppetti di persone che commentavano divertiti i due versi, mentre gli affari del Bar andavano a gonfie vele. Il padrone esultava, ma purtroppo la sua gioia durò solo tre o quattro giorni... Una mattina il messo della Curia arrivò e, accusando "Quel miserabile pagliaccio", "Quel guitto irrispettoso" d'aver osato nominare Dio invano, ingiunse al proprietario del locale di togliere dalla vetrina la foto e i due versi blasfemi.
A dire il vero non mi sentii affatto colpevole di irriverenza: pure Di Giacomo aveva fatto scendere il Padreterno e San Pietro fino a Piazza Dante, li aveva fatti entrare in un Caffè, orinando al cameriere: "Favoriteci due mezze limonate".. Perché il limone sì e il caffè no? Vattelapesca!

Roma, febbraio 1983

SEMIFREDDO AI FAGIOLI BIANCHI DI SPAGNA


Ricetta liberamente tratta da quella pubblicata sul mensile della Conad.


Ingredienti per 8 persone
g. 200 fagioli bianchi di Spagna secchi da ammollare
g. 200 panna montata
g. 120 zucchero
g.   70 Maraschino
g.   50 albumi
n.     1 baccello di vaniglia
          sale
cacao in polvere
frutta fresca
n. 8 sfoglie di cioccolato
sale, un pizzichino

Procedimento
Fate ammollare per una notte intera i fagioli. Al mattino cambiate l'acqua e fateli bollire a fuoco basso con il baccello di vaniglia (intero) per 2 ore.
Al termine, scolate i fagioli e conservate la vaniglia. Mettete da parte 16 fagioli e gli altri spellateli dalla pellicina mentre sono ancora caldi. Mettete i fagioli spellati in una terrina.
Con un coltello, tagliate a metà il baccello di vaniglia*, prelevate i semini e aggiungeteli nella terrina di fagioli.
Fate una purea con i fagioli, aggiungete 60 g. di zucchero e il Maraschino; lavorate fino ad ottenere una crema.
Montate l'albume con un pizzico di sale. 
In un padellino mettete g. 40 di zucchero con g. 16 di acqua, fate cuocere portandolo a 110°. Riprendete l’albume montato e poi a filo unitevi lo zucchero caldo, continuando a montare. Incorporate l’albume montato alla crema di fagioli poi aggiungete la panna montata.
Distribuite il composto in 8 stampini e metteteli in freezer per almeno 5 ore.
Poco prima di servire il semifreddo spolverizzate i 16 fagioli messi da parte con i restanti 20 g. di zucchero e fateli caramellare in forno.
Sformate gli stampini, guarnite i semifreddi con la sfoglia di cioccolato, i fagioli caramellati (due per ogni semifreddo), una spolverata di cacao e una di zucchero a velo, la frutta fresca e  se volete anche frutta candita.


Considerazioni: appurato che a me il maraschino non piace proprio, urge trovare un liquore in sostituzione
* Non buttate il baccello di vaniglia utilizzato, ma fatelo asciugare per bene e poi mettetelo così com'è in un contenitore con dello zucchero, meglio lo Zefiro che è molto fine, otterrete così lo zucchero vanigliato.

mercoledì 28 dicembre 2011

CARAMELLE DI MAGRO ALL’AFFUMICATO


Ricetta tratta da “Il meglio del meglio del meglio “FINI



Ingredienti (dosi per 4 persone) 
          
g. 500 caramelle di magro (oppure tortelloni di magro)
g. 100 salmone affumicato
g.   70 burro
n.    2 zucchine
n.    1 porro
un rametto di aneto
sale e pepe

PROCEDIMENTO

Mondate il porro e affettatelo finemente; mondate le zucchine, lavatele e tagliatele a julienne. In un tegame, fate appassire il porro con il burro, poi unite le zucchine a julienne. Salate, pepate e cuocete a fuoco vivace per circa cinque minuti.
Togliete il tegame dal fuoco, unite l’aneto tritato e il salmone affumicato tagliato a listarelle.
Nel frattempo lessate le caramelle di magro in abbondate acqua bollente salata, quando saranno cotte, conditele subito con il sugo preparato che avrete fatto riscaldare per qualche istante.

lunedì 26 dicembre 2011

CREMA AL LIMONCELLO DI KATIA


Questo liquore lo fa ogni anno mia cugina Katia, un amico del marito porta i limoni da Sorrento e lei si mette subito all’opera. Io non l'ho fatto ma l'ho solo bevuto e devo dire che m'è piaciuto molto.


Ingredienti
n.      10 limoni non trattati e possibilmente di Sorrento
l.         1 alcool per liquori
l. 1 e 1/2 latte parzialmente scremato
g.     500 panna fresca
kg.    1,4 zucchero  *
n.        1 baccello di vaniglia

* se volete il liquore meno alcolico, diminuite la quantità dello zucchero.

Procedimento
Lavate bene i limoni, spazzolateli; togliete la buccia avendo l'accortezza di togliere solo la parte bianca. Fate macerare le bucce nell'alcool per 15 giorni in un contenitore chiuso sbattendole ogni tanto.
Passati i 15 giorni fate sobbollire per 1/2 ora il latte, la panna, lo zucchero, i semini e il baccello della vaniglia.  Fate raffreddare tutta la notte.
Filtrate l'alcool dalle bucce. Filtrate il latte e unite i due liquidi. Mescolate e imbottigliate. Il liquore deve riposare 1 settimana.
Conservate in freezer.

domenica 25 dicembre 2011

TRIS DI GANACHE AL CIOCCOLATO


Ricetta passatami dalla mia collega, veramente gustosa. Purtroppo, appena sono stati portati in tavola, questi bicchierini sono andata a ruba e mi sono scordata di fotografarli

Ingredienti per circa 13 bicchierini monoporzione:

- g. 100 cioccolato fondente 70% cacao
- g. 100 cioccolato al latte
- g. 100 cioccolato bianco
- g. 525 panna fresca per dolci (non vegetale che mi fa schifo)
- n.     2 fogli di colla di pesce
Bastoncini di cioccolato Mikado

Procedimento:
Il procedimento è uguale per tutti i 3 tipi di cioccolato, l'unica variante è la colla di pesce per il cioccolato al latte e bianco perché fanno fatica a rassodare.

Ganache cioccolato fondente
Scaldare bene senza far bollire 100 g. di panna e nel frattempo spezzettare in una ciotola il cioccolato fondente.
Appena la panna sarà pronta, versarla sul cioccolato, aspettare un attimo e poi mischiare bene a formare la crema, fate intiepidire portando a circa 40° (prova dito intinto e poi ciucciato)
Nel frattempo montare 75 g di panna ben soda e poi aggiungerla alla salsa di cioccolato .
Mescolare dal basso verso l'alto con la frusta a mano.
Versare nei bicchierini formando il primo strato.
Mettere nel frigorifero.

La preparazione della ganache del cioccolato al latte e quella al cioccolato bianco è uguale.

Ganache cioccolato al latte
Far rinvenire la colla di pesce in acqua fredda.
Scaldare bene senza far bollire 100 g. di panna e nel frattempo spezzettare in una ciotola il cioccolato al latte.
Appena sarà calda, strizzare la colla di pesce e aggiungerla alla panna. Versare sul cioccolato e mescolare per formare la crema, fate intiepidire portando a circa 40° (prova dito intinto e poi ciucciato, bis).
Nel frattempo montare 75 g di panna ben soda e poi aggiungerla alla salsa di cioccolato.
Mescolare dal basso verso l'alto con la frusta a mano.
Togliere i bicchierini dal frigo, Versare la salsina formando il secondo strato.
Rimettere in frigorifero.

Ganache cioccolato bianco
Far rinvenire la colla di pesce in acqua fredda.
Scaldare bene senza far bollire 100 g. di panna e nel frattempo spezzettare in una ciotola il cioccolato bianco.
Appena sarà calda, strizzare la colla di pesce e aggiungerla alla panna. Versare sul cioccolato e mescolare per formare la crema, fate intiepidire portando a circa 40° (solo prova dito e niente ciucciata per me, non mi piace il cioccolato bianco).
Nel frattempo montare 75 g di panna ben soda e poi aggiungerla alla salsa di cioccolato.
Mescolare dal basso verso l'alto con la frusta a mano.
Togliere i bicchierini dal frigo, Versare la salsina formando l'ultimo strato.
Rimettere nel frigorifero.

Quando servirete, inserite in ogni bicchierino una stecca di Mikado.

Non ho fatto foto, è un vero peccato perché anche la vista, oltre al palato, ha gustato molto. 
Piaciuto a tutti, quando mangi il 1°bicchierino te lo gusti appieno e devi per forza mangiarne un altro bicchierino, al secondo hai la sorpresa, ti chiedi come faccia ad essere ancora migliore del precedente

sabato 24 dicembre 2011

PANPEPATO E BUON NATALE


Per questa ricetta mi sono ispirata a quella che Giuly ha pubblicato nel sito Gatti&Co di Minpeppex.
Grazie Giuly


Ingredienti
g. 250 miele millefiori
g. 250 cioccolato fondente
g. 250 noci
g. 125 nocciole
g. 100 mandorle pelose
g. 140 canditi (cedro e arance)
g. 100 fichi secchi
g.   20 uvetta sultanina
g.   45 cacao amaro
g.  25  pinoli
n.     2  cucchiai di Rhum
n.     1 tazzina caffè
n.     4 cucchiai farina + un pochino per dare la forma ai dolcetti
n.     1 pizzico di sale
            cannella, noce moscata, pepe nero, chiodi di garofano

Procedimento
Mettere a bagno l’uvetta nel rhum. Tritate a cubetti la frutta candita. Spezzettare grossolanamente le noci poi, tostare tutta la frutta secca in un pentolino, quindi mettetela in una terrina di vetro e fatela raffreddare. Tagliate in 4 i fichi secchi e metteteli da parte.
Con un coltello tritate il cioccolato fondente, devono essere pezzetti molto piccoli, in modo che si possano sciogliere col calore del miele, poi mettetela in una grossa terrina.
In un mortaio pestate n. 5 chiodi di garofano poi aggiungete la noce moscata, la cannella e macinate sopra una bella grattata di pepe. Aggiungete le spezie alla frutta secca e mescolate.
Portate a ebollizione il miele con pochissima acqua, a fuoco moderato e non appena bolle, rovesciatelo sul cioccolato tritato, mescolate sciogliendo bene il cioccolato.
A questo punto aggiungete la frutta secca speziata, mescolate; poi i canditi, mescolate. Mettete ora l’uvetta con il rhum e mescolate. Ora aggiungete il cacao poi il caffè, la farina e infine il sale, mescolate sempre dopo aver inserito ogni ingrediente. Fate raffreddare completamente.
Quando il composto sarà freddo dividete l’impasto in due e formando due panetti belli compatti, aiutandovi con la carta forno e con la farina rimanente.
Accendete il forno e portatelo a 160°, infilate i due panetti e fateli cuocere per 15 minuti circa.
Quando i panetti usciranno dal forno saranno molli quindi lasciateli raffreddare senza staccarli dalla carta forno, cercate di modellarli leggermente mentre si stanno raffreddando.
Impachettate e infiocchettate il panpepato se decidete di regalarlo.

SUGGERIMENTI PER I REGALI DI NATALE


Da "Natale, pensieri, creazioni e menù" - Food Editore

·         Al tuo nemico, perdono.
·         Al tuo avversario, tolleranza.
·         Al tuo amico, il tuo cuore.
·         A un tuo cliente, affidabilità.
·         A tutti, carità.
·         A ogni bambino, un buon esempio.
·         A te stesso, rispetto

venerdì 23 dicembre 2011

GELATO ALLA LIQUIRIZIA

Ricetta trovata nel web, risultato: buonissimo


Ingredienti
g.   50 bastoncini di liquirizia, quelli  neri
g. 300 latte intero
g. 150 zucchero Zefiro
g. 350 panna fresca

Procedimento
Tagliate a pezzetti i bastoncini di liquirizia.
Mescolando con un cucchiaio di legno, fate sciogliere lo zucchero nel latte poi, mettete il tutto in un tegamino con i pezzetti di liquirizia.
Fate sciogliere a fuoco lento mescolando in continuazione. Lasciate raffreddare. Filtrate se necessario. Fate raffreddare in frigorifero.
Unite la panna, mescolate cercando di amalgamarla al composto e versate nella gelatiera.
Procedete come da istruzioni

GELATO ALLA CANNELLA


Adoro i gelati, preferisco i gelati alla crema a quelli alla frutta.
Tempo fa ho assaggiato il gelato alla cannella e m’è piaciuto moltissimo, in seguito ho trovato questa ricetta in internet. Buonissimo.

Ingredienti
ml. 600 latte intero
ml. 300 panna fresca
g.   250 zucchero zefiro
n.       6 tuorli
n.       1 baccello di vaniglia (i semi)
n.       1 stecca di cannella.

Preparazione
Tagliate a metà per il lungo il baccello di vaniglia, con la lama di un coltello togliete i semi poi, mettete semi e baccello nel latte in cui avete sciolto lo zucchero e scaldate senza portare a ebollizione.
Lavorate a crema i tuorli con lo zucchero fino a ottenere un composto soffice e spumoso.
Filtrando, aggiungete a filo il latte e mescolate dolcemente con la frusta per ottenere una crema omogenea.
Immergete nella crema la cannella spezzettata e lasciate riposare per alcune ore (potreste anche preparare la crema la sera precedente).

Passato questo tempo, eliminate la cannella e aggiungete la panna.
Fate raffreddare nel frigorifero, quindi frullate per un minuto. Rimettete in frigorifero per un’ora e ripetete l’operazione almeno altre 2 volte.

Dopo l’ultimo intervento con il frullatore, riponete il gelato nel congelatore e lasciatelo riposare nel congelatore per 2 ore e comunque fino a quando ha raggiunto la giusta consistenza. In alternativa, mettete il composto nella gelatiera e seguite le istruzioni del vostro elettrodomestico.

Togliete il gelato dal freezer un paio d’ore prima di servirlo in tavola.

mercoledì 21 dicembre 2011

ASTICE ALL’AMERICANA CON RISO SELVAGGIO


Dal corso “Alta Cucina” presso La Cucina Italiana

(Foto by Bay)

Ingredienti per 4 persone

n.     2 astici da g. 500 cadauno
g. 200 riso selvaggio
n.     1 cipolla
n.     1 costa di sedano
n.     1 spicchio d’aglio
dl.    1 olio Evo
g. 400 pomodori
dl.    1 vino bianco
dl.   ½ cognac
n.     1 peperoncino
g.   10 maizena
g.   10 erbe aromatiche (prezzemolo, dragoncello, cerfoglio)
          sale

Procedimento

Tagliare a pezzi gli astici: le code a medaglioni, le chele e la testa a metà. Mondare il sedano e la cipolla e tagliarli a mirepoix, cioè a cubetti di mm. 3 di lato. Lavare e tagliare i pomodori a pezzi. Lavare ed asciugare bene le erbe aromatiche.

Prendete i pezzi di astice, salateli e rosolateli a fuoco vivo con metà dell’olio, aggiungete l’aglio, il peperoncino, le verdure a cubetti e proseguite con la rosolatura. Mettete il cognac e fiammeggiate, poi unite il vino. Fate evaporare.
Aggiungete i pomodori a pezzi, le erbe, un pochino d’acqua e regolate di sale. Fate cuocere per 20 minuti.

Eliminate i carapaci e mettete la polpa da parte. Diluite la maizena con poca acqua e unitela al sughetto, fate cuocere per una decina di minuti. Poi frullate e passate la salsa al colino.

Lessate il riso per 45 minuti in acqua bollente salata, poi scolatelo e fatelo saltare in padella col il rimanente olio, regolate di sale.
Impiattamento:  su un piatto caldo, disponete il riso, sopra l’astice e la sua salsina

martedì 20 dicembre 2011

SBROFFADEJ IN BROEUD (SBROFADEI IN BRODO)


Da “RICETTE PER LE FESTE” CONAD
Richiamano i passatelli ma al posto del pangrattato qui c'è la farina.


Ingredienti
g. 60 parmigiano grattugiato
n.   3 uova
l     1 brodo di carne
        farina bianca
        noce moscata
        sale q.b.

Procedimento
In una terrina mettete le uova, il parmigiano grattugiato, un cucchiaino di sale, la noce moscata e sbattete con la frusta a mano.
Un cucchiaio per volta aggiungete la farina, tanto quanta basta per formare un impasto morbido quasi come quello della pizza. Impastatelo bene fino a farlo diventare bello liscio. Formate una palla con l’impasto e mettetelo a riposo per un’oretta.

Nel frattempo portate ad ebollizione del buon brodo di carne.
Mettete l’impasto nello schiacciapatate e fate cadere i vermicelli nel brodo bollente; mescolate delicatamente.
In breve tempo saliranno a galla, servite subito in piatti fondi con abbondante brodo, cospargendo con altro parmigiano.

lunedì 19 dicembre 2011

IL PAN DEL TONI


Da “101 Storie su Milano che non ti hanno mai raccontato” di Francesca Belotti – Gian Luca Margheriti – Newton Compton Editori

Il latrato di un cane di una vicina di casa spinse Ugo a schiacciarsi ancora di più contro il muro, quasi a penetrare il buio della notte. Trattenne il fiato per un tempo che gli parve infinito. Poi il cane cessò le sue notturne rimostranze e il giovane poté ricominciare a respirare. Aveva fatto quella stessa strada ogni sera per mesi. Eppure quella notte era qualcosa di diverso a preoccuparlo. Nel pomeriggio aveva preso una coppia di falchi e li aveva venduti per comprare un po’ di burro. Era una cosa gravissima, lo sapeva. Lui, il falconiere di Ludovico il Moro, signore di Milano, era responsabile di quegli uccelli e se il Moro si fosse accorto della loro mancanza, nemmeno le suppliche di suo padre, Giacomo degli Atellani, molto amico di Ludovico, avrebbero potuto salvarlo da una feroce punizione. Erano stati gli occhi di Adalgisa, la donna che amava, gonfi di lacrime, a spingerlo a compiere quel gesto sconsiderato.
Adalgisa era la figlia di un fornaio di corso Magenta,Toni. Le cose per la famiglia di Adalgisa da un po’ non andavano bene. Le loro notti da amanti segreti si erano dovute interrompere perché il lavorante del padre si  era ammalato. Ugo per poter continuare a vedere la bella Adalgisa aveva allora deciso di farsi assumere da Toni come garzone. Lui, il falconiere di corte, che abitava in uno dei palazzi più belli di Milano, dono del Moro a suo padre, rampollo di una delle più nobili famiglie di Milano, che non avrebbe potuto nemmeno degnare di una parola la giovane figlia del fornaio. Ugo passava le notti nell’umile bottega di toni, sporco di farina, a impastare pagnotte per il popolo. Ma nemmeno questo era bastato. L’apertura di una nuova bottega, poco distante da quella di Toni, aveva fatto colare a picco gli affari del padre di Adalgisa.
Ogni notte, prima che i due amanti si separassero, Adalgisa piangeva le amare lacrime della sconfitta tra le braccia del falconiere. Nessuna via d’uscita sembrava esserci. E anche il loro amore era destinato a finire: il padre avrebbe dovuto chiudere la bottega e probabilmente trasferirsi altrove. E allora Ugo aveva preso la decisione. Due falchi e il rischio della punizione del Moro erano un ben misero pegno da pagare per avere ancora l’amore di Adalgisa. I due falchi erano spariti dietro un banco del mercato nero, sostituiti da un bel gruzzolo di monete sonanti. Con queste Ugo aveva fatto un buon affare e aveva comprato una grossa quantità di burro. Lo stesso burro che ora proteggeva con il suo mantello mentre a schiena curva correva tra le ombre verso la bottega di Toni. Quella notte aggiunse al solito impasto del pane il burro appena acquistato.
I risultati non tardarono a farsi vedere. La mattina dopo il negozio di Toni fu preso d’assalto: per le strade non si parlava d’altro che di quell’ottimo pane che si trovava solo nella piccola bottega di corso Magenta.
Comunque per Ugo non era abbastanza. Il giorno dopo sottrasse altri due falchi al Moro e trasformò i soldi guadagnati in altro burro e in zucchero. Ora l’impasto era davvero squisito. E i milanesi non tardarono ad accorgersene. La bottega di toni fu letteralmente presa d’assalto per aggiudicarsi uno di quei pani speciali che già tutti cominciarono a chiamare pan del toni(presto storpiato in “panettone”)
Ugo diede un ultimo tocco di classe alla ricetta, quando ormai il Natale era alle porte, aggiungendo uova, cedro candito e uva sultanina. Il dolce più famoso di Milano era nato. E la storia si avviava verso il lieto fine: gli affari erano tanto migliorati che Toni era diventato ricco e finalmente Ugo poteva presentare Adalgisa ai suoi genitori senza problemi, considerato che ora apparteneva a una famiglia decisamente agiata. Tanto agiata che Giacomo degli Atellani non ebbe nulla da ridire quando i due decisero di convolare a giuste nozze.
Ludovico il Moro per quei quattro falchi persi non se la prese poi molto; forse Ugo portò in dono un paio di panettoni anche al signore di Milano per risarcirlo del danno subìto. E il panettone, si sa, addolcisce chiunque.

domenica 18 dicembre 2011

NADALIN


Il nadalin è un tipico dolce veronese natalizio, a forma di stella


Ingredienti
g. 250 farina Manitoba
g. 180 zucchero Zefiro
g.  20 granella di zucchero
n.   4 uova
g.  80 burro a temperatura ambiente
g.  20 pinoli
n.    1 punta di cucchiaino di estratto di vaniglia
n.   1 limone – buccia grattugiata
g.  15 lievito di birra 
sale
zucchero a velo

Procedimento
Nel boccale dell’impastatrice mettete la farina, lo zucchero, la vaniglia e il lievito. Cominciate a far lavorare il gancio, quindi uno ad uno inserite le uova e la buccia grattugiata del limone. Continuate a far lavorare, poi unite il sale e il burro. Fate lavorare a lungo poi mettete l’impasto a lievitare in luogo tiepido fino al raddoppio.
Mettete l’impasto nello stampo a forma di stella cospargetelo con granella di zucchero e i pinoli, fate lievitare ancora fino al raddoppio.

Infornate in forno caldo a 170°C circa per 1 ora.
Per la cottura vale la prova stecchino. Spolverizzatelo con lo zucchero a velo.

Il pandoro, nato nel 1894 per mano del pasticcere Domenico Melegatti, è il tipico dolce veronese delle festività natalizie. Assieme al panettone è tra i dolci natalizi più famosi ed apprezzati in Italia, che la produzione industriale e la squisità bontà hanno fatto diventare un successo internazionale, apprezato anche in Austria, Francia, Spagna, Germania e Stati Uniti. Molti veronesi doc lo ritengono però troppo commerciale per esprimere il vero senso delle tradizioni e del Natale. Preferiscono il Nadalin, un dolce creato alla fine del duecento per festeggiare il primo Natale dopo l’investitura dei nobili Della Scala a Signori di Verona, che del moderno pandoro di Verona è sicuramente il padre. Poco lievitato e non molto alto, anch’esso ha la forma di una stella ad otto punte, seppure meno delineata e precisa di quella del pandoro.
(www.verona.net)

sabato 17 dicembre 2011

COPPETTA PRIMAVERA


Questa ricetta l'ho trovata su un libro comprato una decina di anni fa a La Cucina Italiana, “Antipasti”

Ingredienti:

- 1 confezione di germogli di soia
- insalatina mista di stagione
- 2 patate bollite
- 2 uova sode
- 1 avocado
- 1 cucchiaino capperi
- 1 limone succo
- aceto
- 60 g. olio (circa)
- sale


Procedimento:

Dopo aver lavato e asciugato i germogli di soia e l'insalata, metterli in una ciotola, aggiungere l'avocado e le patate sagomate a palline con lo scavino.
Prendere i tuorli rassodati delle uova e frullarli a bassa velocità con: capperi, succo di limone, aceto e sale.
Distribuire il misto di verdure in coppette e condire con la salsina 

venerdì 16 dicembre 2011

CROSTATA AL CAVOLFIORE



Ingredienti

n.     1 disco pasta brisée
g. 600 cavolfiore già bollito in acqua bollente salata
g. 200 formaggi (scamorza affumicata, pecorino sardo)
g. 100 olive denocciolate
n.     3 uova
           erba cipollina
           olio Evo, sale, pepe nero


Procedimento

Aiutandovi con la carta forno, tirate la brisée formando un cerchio che collocherete in uno stampo a cerniera da cm. 24; mettete lo stampo al fresco nel frigorifero
In una padella saltate velocemente il cavolfiore con poco olio e un pochino di erba cipollina,  pepate e fate raffreddare
In una terrina, mettete il cavolfiore ormai freddo, il formaggio tagliato a dadini, le olive nere tagliate grossolanamente e le uova sbattute con una presa di sale. Mescolate bene.
Togliete la teglia dal frigo, riempitelo con il cavolfiore e rivoltate i lembi della pasta brisée.
Preriscaldate il forno a 210° e quando infornate la teglia abbassate la temperatura a 200°, cuocete per 30 minuti circa.

giovedì 15 dicembre 2011

ANTIPASTO MISTO AL TONNO


Anche questa ricetta l'ho trovata sul libro Antipasti de La Cucina Italiana

Ingredienti per 8 persone:

- g. 300 tonno a fettine (carpaccio) potete utilizzare anche quello affumicato
- g. 300 insalatina di stagione (io ho usato la valeriana)
- g. 120 pancetta tesa a fettine
- g.   80 gherigli di noce spezzettati grossolanamente
- n.     1 mela rossa
- aceto di mele
- olio EVO
- sale e pepe

Procedimento:

Croccantare la pancetta su una padella ben calda senza far bruciacchiare.
Lavare e asciugare bene l'insalata.
Togliere il torsolo alla mela e tagliarla a fettine sottili.

Su un piatto da portata mettere l'insalata, posizionare il tonno a fettine e sopra sistemare le fettine di mela e la pancetta croccante e cospargere con i gherigli di noce.

Frullare a bassa velocità aceto, olio e sale; condire con la salsina l'insalata e poi una bella macinata di pepe. 

mercoledì 14 dicembre 2011

SPAGHETTI ALL’AMATRICIANA DI RICCARDO ROSSI


Vedo spesso "Cuochi e fiamme" su La7 dove un ospite fisso è l'attore Riccardo Rossi. Spesso parla della sua amatriciana come fosse il piatto migliore al mondo, quindi incuriosita ho provato a cucinarlo e ormai l'ho fatto varie volte. E' molto gustoso.
Ah, per Riccardo Rossi niente cipolla per l'amatriciana ed io non posso far altro che dire: "Obbedisco!"


Ingredienti per 3 persone
g. 250 spaghetti
g. 200 guanciale tagliato a cubotti
n.     1 scatola di pelati da 400 g.
          peperoncino

Procedimento
Mettete una padella sul fuoco, fate scaldare e poi buttateci i cubotti di guanciale, coprite con un coperchio e fate croccantare a fuoco vivace.
Schiacciate i pelati con una forchetta e quando il guanciale sarà croccante aggiungeteli al guanciale, poi mettete un po’ di peperoncino, a vostro gusto.
Nel frattempo mettete l’acqua a bollire e cuocete gli spaghetti; ad un minuto alla fine del tempo di cottura rovesciate gli spaghetti nella salsa.
Fate saltare la pasta velocemente e servite ben caldo.

ANTIPASTO DI PESCE


Questa ricetta me l'ha passata la mia capa. 
Si può usare qualsiasi tipo di pesce bianco, lei per esempio usa il merluzzo che a me però,  piace solo fritto con la pastella. Io ho usato la rana pescatrice o coda di rospo

Non ricordo le dosi degli ingredienti:

- coda di rospo
- insalata (io ho usato la valeriana o soncino)
- farina
- olio (poco)
- aceto di mele
- sale e pepe

Procedimento:

Ho tagliato a quadrotti il pesce e l'ho infarinato leggermente; poi l'ho saltato in padella con poco olio, ho salato leggermente e l'ho fatto croccantare.
Ho condito l'insalata con olio, aceto, sale e pepe e ho cosparso con i cubetti di pesce bollente.
Portare subito in tavola

martedì 13 dicembre 2011

IL MIO COFFEE CAKE


Ho denominato questa ricetta "il mio coffee cake" perché ho totalmente stravolto la ricetta originale. Col caffè non ha niente a che fare, ma lo si sorseggia mentre si degusta un pezzo di questo dolce . Ricetta liberamente tratta da una vecchia rivista di cucina.


Ingredienti
g. 300 farina 00 setacciata
g. 100 farina Manitoba
g.   25 lievito di birra
g.   50 burro ammorbidito
g.   50 zucchero semolato
dl.    2 latte a temperatura ambiente
n.     2 uova grosse a temperatura ambiente
n.     1 albume (per decorare)
        1 pizzico sale
           granella di zucchero per decorare

per spennellare:
g. 100 zucchero semolato a cui aggiungerete della cannella q.b.
g.   60 burro fuso
 uno stampo a ciambella da 26 cm. di diametro

Procedimento
Sciogliete il lievito nel latte.
Nel bicchierone dell'impastatrice mettete le due farina, il lievito sciolto nel latte e lo zucchero, fate impastare. Aggiungete le uova una ad una e continuate ad impastare, quindi mettete il sale
e per ultimo mettete il burro; continuate a far lavorare l'impastatrice fino a che il burro è completamente assorbito nell'impasto,
mettete l'impasto in una grossa ciotola e copritela con la pellicola trasparente; fate lievitare fino al raddoppio in luogo caldo (nel forno con la sola lucina accesa)
Trascorso questo tempo sgonfiatela e fate una ripresa, cioè la lavorate velocemente, poi la rimettete nella ciotola coperta sempre con la pellicola e la infilate nel frigorifero fino al raddoppio.
Questo metodo, lievitazione più riposo in frigo, fa si che la pasta brioche diventi morbida e tenera
A riposo avvenuto riprendete la pasta e sulla spianatoia la tirate formando un cilindro: dividete l'impasto in 19 palline;
prendete ogni pallina e la spennellate col burro fuso poi la rotolate nello zucchero profumato con cannella, sistematele nello stampo a ciambella preventivamente imburrato, formando due strati (10 palline sotto e 9 appoggiate sopra)
Accendete il forno e portatelo a 200°, nel frattempo spennellate il dolce con l'albume sbattuto e cospargetelo con la granella di zucchero
Appena il forno ha raggiunto la temperatura giusta, infilate il dolce e fate cuocere per 30 minuti circa.
Servire la ciambella fredda o tiepida accompagnata da una fumante tazza di caffè