martedì 6 dicembre 2011

UN MILANESE DI NOME AMBROGIO


Da “101 Storie su Milano che non ti hanno mai raccontato” di Francesca Belotti – Gian Luca Margheriti – Newton Compton Editori
Accadde un giorno del 374. Un freddo giorno d’autunno. La popolazione di Milano si era riunita per trovare un degno sostituto all’Arcivescovo Aussenzio, appena morto. Tra la folla c’era un giovane. IL suo nome era Ambrogio.
Ambrogio era nato a Treviri intorno al 339. L’appartenenza a una facoltosa famiglia e gli studi compiuti a Roma gli avevano permesso di intraprendere una brillante carriera politica che era culminata, qualche anno prima, con un incarico di grande prestigio: governatore romano dell’Italia settentrionale. Quel giorno d’autunno Ambrogio si era unito alla folla per tenere d’occhio quelli che da qualche tempo erano i suoi concittadini. La situazione a Milano rischiava di diventare esplosiva: ariani e ortodossi si stavano scontrando sempre più apertamente. E quel vuoto di potere lasciato dall’improvvisa scomparsa di Aussenzio si poteva trasformare in breve in qualcosa di incontrollabile.
Ogni fazione voleva un suo rappresentante sul soglio arcivescovile. Gli animi si scaldavano. Le voci si alzavano. Ambrogio fu costretto a uscire dall’ombra e a prendere la parola. La gente restò incantata,rapita dalle sue parole sulla necessità di una scelta imparziale.
Quando Ambrogio ebbe terminato, il silenzio coprì gli astanti come un sudario. Solo un bambino, piccolo e innocente, ruppe la quiete. Le sue parole rimbombarono nell’aula come il volere di Dio in persona: “Ambrogio vescovo!”
La gente, inizialmente contrariata, impiegò poco a unirsi a quel coro di urla, “Ambrogio vescovo! Ambrogio vescovo!”. Sembravano tutti d’accordo: Ambrogio sarebbe stato il vescovo perfetto per Milano. Era vero che non era un religioso, ma un uomo politico. Era anche vero che non era una persona particolarmente pia e che amava la compagnia di donne di dubbia moralità. Ma chi meglio di lui avrebbe potuto guidare i milanesi in quel difficile frangente?
Chi proprio non voleva saperne, però, era Ambrogio. L’idea di diventare vescovo di Milano era quanto di più lontano dai suoi progetti. Senza farsi notare lasciò l’assemblea e, disperato, corse a rifugiarsi nel palazzo del pretorio per escogitare un piano di fuga.
I milanesi frattanto si riversavano nelle strade per festeggiare la scelta fatta. Poco importava che l’interessato si fosse reso irreperibile. Appena le tenebre coprirono le vie della città, senza indugio Ambrogio saltò a cavallo della sua mula, Betta, e si diede a una fuga precipitosa.
Si diresse verso Pavia certo da lì di poter poi allontanarsi verso Roma. Ma non ci fu niente da fare. All’alba i suoi concittadini lo trovarono seduto su una pietra appena fuori da porta Romana. Per quanto avesse cavalcato, la sua mula aveva continuato a girare intorno e si era ritrovano non lontano dal punto di partenza.
Ambrogio non si perse d’animo e la notte successiva tentò nuovamente la fuga. Prese qualche precauzione questa volta. Fece fermare la mula al contrario per sviare eventuali inseguitori e imboccò la strada che andava verso Magenta. Quella zona la conosceva bene e non rischiava di smarrirsi come la notte precedente. Ancora una volta riuscì a percorrere solo pochi chilometri: la sua mula si piantò in mezzo alla strada e non si mosse più. Gli inseguitori, per quanto confusi dalle impronte al contrario, si fecero guidare dalle sue grida:”Corr! Betta. Corr! Betta”. I milanesi lo trovarono dalle parti di Abbiategrasso. La mula si spostò solo allora, quando i meneghini la guidarono verso la città con il suo prezioso carico. Il paese dove Ambrogio fu ritrovato ancora oggi si chiama Corbetta.
Il destino si era ormai compiuto: agevolato da un intervento divino, Ambrogio fu nominato vescovo il 7 dicembre di quello stesso anno, e certo non disattese le aspettative dei suoi concittadini.
Oltre che per la definitiva sconfitta dell’arianesimo o per la conversione di quello che sarebbe diventato uno dei padri della Chiesa, sant’Agostino, Ambrogio entrò nel cuore dei milanesi per l’impressionante quantità di miracoli che compì.
Una volta sconfisse nientemeno che Satana in persona. Il diavolo si presentò ad Ambrogio per indurlo in tentazione. Il futuro santo però, non si fece distogliere e anzi colpì il demonio con un calcio nel sedere talmente forte da fargli incastrare le corna in una colonna che si trovava fuori dalla basilica ad martyres, quella che oggi è la basilica di Sant’Ambrogio. La colonna è ancora lì, all’esterno della basilica, lungo il lato sinistro. E a metà della sua altezza ci sono ancora i due buchi fatti dalle corna del demonio.
Ambrogio ritrovò anche uno dei chiodi della crocifissione. Lo fece un pomeriggio, passando davanti alla bottega di un fabbro. Sentì le imprecazione dell’uomo che da ore cercava di piegare un pezzo di metallo senza successo. Ambrogio entrò e si fece consegnare l’oggetto. Non appena lo toccò, una strana sensazione lo pervase e si accorse subito del valore religioso dell’oggetto che stringeva tra le mani: era il chiodo che l’imperatore Costantino aveva ricevuto in dono da sua madre Elena e trasformato nel morso del suo cavallo. Sua madre lo aveva ritrovato, insieme agli altri tre, durante un viaggio a Gerusalemme, ed erano anni che quel chiodo era misteriosamente scomparso.
Anche questa reliquia si trova ancora a Milano, collocata in una teca a 45 metri d’altezza, nella volta dell’abside del Duomo. Da qui viene tolta solamente un giorno all’anno, il 13 settembre, durante la cerimonia detta della “Nivola”.
Al di là degli eventi miracolosi, un evento in particolare segnò l’importanza di Ambrogio come personaggio storico. A Tessalonica oggi Salonicco) l’imperatore Teodosio aveva fatto massacrare migliaia di civili innocenti come rappresaglia per l’uccisione del suo governatore sul posto, Boterico. Al rientro nella capitale del regno, che allora era Milano, Teodosio si recò in visita dal vescovo, ma questi rifiutò di incontrarlo. Non solo, Ambrogio rifiutò anche di officiare la messa in presenza dell’imperatore, perché lo reputava portatore di un peccato troppo grave per poter assistere a una funzione religiosa. Ambrogio fu irremovibile, tanto che Teodosio fu costretto ad inchinarsi davanti al vescovo e chiedere umilmente perdono a Dio.
Era la prima volta che il potere politico e quello religiose venivano a scontrarsi. Con Ambrogio, per la prima un imperatore dovette sottomettersi a un vescovo. Da quel momento in poi nessun sovrano sarebbe riuscito a sottrarsi all’influenza del potere religioso.

Nessun commento:

Posta un commento