venerdì 6 gennaio 2012

IL RISOTTO ALLA MILANESE


Da “Le Ricette Regionali Italiane” di Anna Gosetti della Salda - Casa Editrice Solares 1967

I pareri sulla vera ricetta del “risotto alla milanese” sono molto discordi. Vi è chi asserisce che dopo aver messo il riso, occorre una cucchiaiata di grasso d’arrosto (un arrosto di vitello che sia stato cucinato solo con burro, salvia e rosmarino), c’è invece chi vuole il grasso d’arrosto cotto subito con il midollo, e vi è chi cosparge anche il risotto con il grasso d’arrosto, dopo averlo sistemato sul piatto di portata. In questi casi il risotto risulta di un bel colore giallo bronzo, per l’unione del grasso di arrosto con lo zafferano. Si discute anche se occorra o meno il vino, e se questo debba essere bianco o rosso. In molte famiglie, riconosciute tradizionali e milanesi di vecchio ceppo, è usanza mettere il vino rosso, un buon vino rosso (un quinto per sei persone) subito dopo la “tostatura” del riso e quando il vino è stato bene assorbito si continua la cottura con il brodo  bollente.
Pare che questa usanza sia stata portata nella città dai brianzoli che venivano a lavorare nelle case patrizie milanesi. Poiché in Brianza si cucina sovente con il vino può darsi che questa voce corrisponda a verità.
La presenza dello zafferano tra gli ingredienti, molto apprezzata, non ha mancato di suscitare curiosità circa le sue origini. Così il piatto ha una leggenda, anzi ne ha diverse.
Riportiamo qui la più suggestiva.
Pare dunque che il risotto abbia legato la sua storia alla secolare fabbrica del Duomo. Nel 1574, un maestro vetraio che aveva l’incarico di portare a termine nel Tempio la vetrata di Sant’Elena, si avvaleva, per la coloratura dei vetri, dell’opera di un abile discepolo. Costui era stato denominato “Zafferano” perché nel comporre il “giallo d’argento” non mancava mai di aggiungere ai colori un pizzico di zafferano, ottenendo così effetti meravigliosi. Un giorno il maestro vetraio esclamò ridendo: “Io lo vedo; tu finirai per mettere lo zafferano anche nel risotto”. Avvenne poi che la figlia del vetraio convolasse a nozze con un facoltoso commerciante. Ad un certo punto del banchetto nuziale avanzarono verso la tavola quattro valletti che reggevano altrettante marmitte fumanti. I convitati guardarono stupiti l’inconsueto risotto contenuto nelle marmitte: era giallo, come se si trattasse di chicchi d’oro. Era il dono di nozze che lo scolaro “Zafferano”, accordatosi con il capo dei cuochi, offriva agli sposi. La sorpresa venne accolta con caloroso entusiasmo. Fu un successo così strepitoso che la notizia del piatto “alla moda” corse rapida per la città e l’indomani tutta Milano assaggiava il risotto giallo.

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